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Messa internazionale per la pace nel mondo

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Si è tenuta martedi 10 marzo alle ore 20 una Messa internazionale alla Cittadella dell’Accoglienza Giovanni Paolo II sita in via Alento a Pescara. Celebrata da don Luciano Volpe, vice-parroco alla Parrocchia dello Spirito Santo, è stata organizzata e animata dal gruppo di Pescara dei Cavalieri della Luce di Nuovi Orizzonti, associazione fondata da Chiara Amirante.


La Cittadella, inaugurata il 20 giugno 2013, come si legge nell’epitaffio, è “sorta per iniziativa e impegno solidale dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne e della Fondazione Pescarabruzzo, con il contributo della Conferenza Episcopale Italiana, ed è stata benedetta da Sua Eminenza il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della C.E.I. al tempo di Tommaso Valentinetti, Arcivescovo di Pescara”.

A questa Messa hanno partecipato oltre ai volontari di Nuovi Orizzonti anche e soprattutto diversi ospiti della struttura che li accoglie, anche se alcuni di fedi diverse (musulmana), in nome della pace nel mondo e nella consapevolezza che siamo tutti figli di un unico Dio.

Abbiamo intervistato Adelchi Ciarrocca, responsabile dei Cavalieri della Luce di Nuovi Orizzonti di Pescara, che sintetizzando ci dice che il gruppo nasce nella Cappellina “Redentoris Mater”, situata sul 1° binario della stazione di Pescara, ispirato dal desiderio di incontrare gli ultimi, i più soli e di invitarli alla preghiera, portarli a Gesù, in sintonia con il carisma specifico di Nuovi Orizzonti, che nasce dalla Stazione Termini di Roma, grazie a Chiara Amirante.

Dopo dieci anni da questo primo “incipit”, attraverso il rapporto collaborativo con la Caritas diocesana, come membri della Consulta, “abbiamo accoltoci dice Adelchi il loro invito a dare il nostro contributo attraverso il carisma specifico dell’associazione (accogliere i fratelli più emarginati) ed abbiamo pensato che il modo più bello e significativo per accogliere gli ospiti della Cittadella potesse essere quello di organizzare una Messa, un momento di preghiera che creasse unità, unione in questo tempo di divisioni e guerre “sante” o “in nome della fede”. Quindi quale miglior strumento se non quello di una celebrazione eucaristica in cui tutti i partecipanti, anche se appartenenti a fedi diverse, potessero sentirsi partecipi, grazie alla traduzione simultanea di una interprete in due o più lingue, nel desiderio comune del raggiungimento di un obiettivo tanto agognato come quello della convivenza pacifica tra fratelli appartenenti a diverse religioni”.

Entrando nella struttura della Cittadella mi accorgo di un ordine e di una pace che non mi aspettavo: mensa pulitissima, personale disponibile a colloquiare e a tenere l’ordine degli spazi in comune, lavanderia nuovissima, insomma una struttura che davvero “accoglie” persone che fino a ieri magari dormivano su un cartone a terra o sulle panchine della città. Ci facciamo un giro nelle stanze per invitare gli ospiti a Messa e ho modo di vedere dove dormono: si avvertono ambienti riscaldati, ben tenuti e mantenuti. In inglese o in francese facciamo il nostro invito alla preghiera. In molti li vedrò a Messa, attenti, incuriositi, qualcuno vorrà la fotografia ma per ragioni di sicurezza non sarà possibile, dal momento che tanti di loro sono rifugiati politici o richiedenti asilo politico.

Nell’atrio scambio due parole con  Angelo (nome fittizio): è un ragazzo argentino, educato, disponibile a dialogare, colto e molto credente. Lui per fortuna ha trovato una sistemazione al di fuori della Caritas, dorme da una persona. Non ce lo dice, ma si vede che ha patito molto. Anzi, ci fa da “Cicerone” in questa struttura e ci dice che molti di loro hanno problemi di dipendenze, altri sono “sottoprodotti della società capitalistica”, emarginati socialmente, girovagano per Pescara senza lavoro. Saggiamente ci dice che l’importante non è tamponare un bisogno, ma trovare la soluzione. “Siamo vittime del sistema” ci dice con sicurezza. E poi aggiunge: “In Italia si aiutano maggiormente gli stranieri, quelli di colore e non gli italiani che sono disassistiti. E’ un razzismo al rovescio!”. E poi cita Montesquieu: “Un’ingiustizia commessa ad un solo uomo è una minaccia per tutta la società”.

Nei momenti precedenti la Messa ho la fortuna di colloquiare con un operatore della Cittadella che si occupa della mensa, dalla preparazione alla cura del piatto, al servizio. E’ da poco che lavora qui ma da come parla traspare che svolge questo lavoro con amore. Ci dice: “la Cittadella non ha un padrone, è di tutti, di chi ha bisogno di un pasto caldo o di un tetto”. E’vero che l’ospitalità è per quaranta giorni al massimo ma gli ospiti vengono seguiti anche dopo, ad esempio dai Centri d’Ascolto. E poi aggiunge: “Lavorare per gli altri è un arricchimento interiore, si diventa amici degli ospiti. Loro ti aprono il cuore. Solo col cuore si può lavorare con loro, altrimenti non lo puoi fare…”.

Nei momenti prima della Messa trovo l’occasione per una breve intervista a don Luciano che la celebrerà di lì a poco. Con la sua umiltà e semplicità che lo contraddistingue mi dice che “crediamo a quell’iniziativa cui diede vita Giovanni Paolo II quando nel 1980 chiamò tutti i rappresentanti delle religioni del mondo a pregare per la pace, perché esse vengono da un solo Dio; tutti gli uomini sono figli dello stesso Padre, quindi è bello incontrarsi insieme nella Cittadella della Caritas diocesana, guardarsi negli occhi e pregare per la pace nel mondo, in particolare adesso che assistiamo ad un risveglio del terrorismo islamico. Qui ogni giorno centinaia di fratelli e sorelle sono accolte per il pranzo e per la cena, decine e decine per dormire, perché non hanno un tetto, quindi questo è un piccolo ma prezioso esempio ispirato dallo Spirito Santo di accoglienza del fratello bisognoso ”. E poi aggiunge: “Oggi è molto facile ritrovarsi in mezzo alla strada o sotto un ponte. Molti perdono il lavoro…Occorre una giustizia sociale: promuovere nuovi posti di lavoro”.

Entrando nella Cappellina mi colpisce la sua “calda” essenzialità: come si può rimanere indifferenti dinanzi a questo ambiente che non può non interrogare le nostre coscienze? E mi colpisce lo scritto in un pannello laterale che s’intitola: “Il binario simbolo dell’umanità in cammino” (è impossibile non cogliere una sorta di “continuità” tra questo binario e quello “sul quale”, circa un decennio fa, nacque il succitato gruppo che ora anima questa “Messa internazionale”). Per dovere di completezza lo riporto integralmente:
“Questa è una Chiesa di “scarti”. E’ un luogo realizzato con materiali comuni, quelli c.d. di riciclo. Ad iniziare dagli scranni, recuperati da alcuni bancali di legno usati nel cantiere della Cittadella.


Al centro c’è un binario, simbolo di partenza, di incontro, di una meta da raggiungere. Ma c’è anche il simbolo di una nuova esperienza che inizia, talvolta di una nuova vita. Il binario è il Viaggio, qualunque esso sia. E tutti i viaggi hanno l’aspirazione di un sogno. Il nostro, qui, in questa piccola Cappella, che abbiamo voluto dedicare a Madre Teresa, è quello di far sentire il calore di una comunità che accoglie e che affronta insieme i problemi quotidiani di tutti, soprattutto degli ultimi tra gli ultimi, perché crediamo che la vita è degna di essere vissuta con quella comunità dove il problema di uno è il problema di tutti.


Il binario, simbolo di un’umanità in cammino, ci proietta verso il tabernacolo, anch’esso ricavato con materiali di scarto, una semplice cassetta di legno che diventa la dimora di quel Cristo che, attraverso la Croce che segna l’altare, abbraccia ogni suo figlio in una prospettiva di redenzione.
Madre Teresa ripeteva che “se non sai riconoscere Cristo nei poveri, non saprai riconoscerlo neppure nell’Eucarestia, perché un’unica fede illumina i due misteri”. E il suo Dio aveva proprio il volto degli straccioni e degli esclusi, quelli che si possono incontrare nei sotterranei della storia: sono loro il volto di Dio presente nell’Eucarestia. Un Dio che non rimprovera, che non scruta nelle nostre eresie, ma che soffia dolcemente dentro il cuore di ognuno di noi…Un Dio che accoglie ogni palpito di umano, che ha il volto di chi soffre, che si sporca le mani nei mucchi di macerie per cercare le sue “pietre di scarto” e trasformarle in pietre angolari.

Noi siamo un immenso popolo di volti. Ma i volti hanno un nome, hanno una storia, hanno degli affetti che spesso lasciano nelle loro terre martoriate dalla fame, dalla guerra o dalla solitudine di una vita che può sembrare irrimediabilmente perduta. Ogni uomo è un volto della Storia. E chi non vede, chi non ascolta questo grido di dolore, rinuncia alla propria umana-unità-umanità.
Siamo una moltitudine in cammino. Un esodo verso una liberazione che chiede, oggi come ieri, Pane e Carità. Un popolo che va incontro a quel Povero di Nazareth che abbatte i potenti e innalza gli umili, che ha unito il “padre nostro” con il “pane nostro” e ci invita ogni giorno a scandalizzarci della gioia che c’è nell’accogliere chi ha bisogno di noi.
Solo così possiamo dire “amen”.”

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