Vito Giovannelli, nell'undicesimo appuntamento con la rassegna degli antichi mestieri, ci regala una fenomenale ricerca sul mestiere del raccoglitore di Cenere di Taranta Peligna. Quello del ceneraro è un mestiere di cui in Abruzzo mai nessuno ha fornito informazioni a parte il Prof. Merlino con cui Giovannelli ha avuto diversi rapporti culturali.
Durante le ricerche d'archivio e sul campo, tese ad individuare i mestieri antichi più umili esercitati dagli abruzzesi, la notizia sul raccoglitore di cenere di Taranta costituì un'autentica sorpresa. Di cenere c'è n'era abbastanza perché, nei tempi andati, il riscaldamento era dato dai caminetti. La cenere, conseguentemente, abbondava. Bisognava solo recuperarla presso i privati. Non aveva costo e la si otteneva gratis in cambio della pulizia del caminetto. Non avrei mai pensato che padri di famiglia non più idonei per lavori pesanti avessero raccolto cenere per sopravvivere.
Nessuno ha mai segnalato e fornito attendibili documenti su questo modestissimo operatore, nessuna bibliografia segnala l'esistenza in Abruzzo di questo umile raccoglitore.
L'unico abruzzese che dà notizia del ceneraro è il Prof. Italo Vincenzo Merlino, specialista nel settore della tessitura e discendente del maestro tessitore Nicola Merlino, a cui si deve l'ampliamento delle lavorazioni relative alle famose e vistose coperte di Taranta Peligna, ricordate, per la qualità della tessitura, per la vivacità del colori e per i raffinati motivi zoomorfi, fitomorfi ed antropomorfi che le compongono (Cfr., Italo Vincenzo Merlino, Taranta Peligna, Antico Paese Attivo, Pescara, Edizioni Asti, 1973).
"Con la cenere si creava l'ambiente alcalino necessario per un buon procedimento della tintura. Per raccogliere la cenere presso le case di Taranta e dei paesi vicini (Lama, Palena, Palombaro Fara S. Martino) vi era una persona, che era appunto chiamata ceneraro"( Italo Vincenzo Merlino, op. cit.).
Con Vincenzo Merlino ho avuto diversi rapporti di natura culturale e, in diverse occasioni ne abbiamo parlato:
- da socio della ditta tessile della sua famiglia Vincenzo mi commissionò lo scatolone delle famose coperte matrimoniali;
- da presidente del comitato feste di san Biagio e di san Rocco volle che incidessi una immagine devozionale di san Biagio (Cfr., Ottaviano Giannangeli, I Paesaggi tra storia e devozione, Quaderno d'Arte N°2, Pescara, Ed. Settembrata Abruzzese,1977);
- da studioso di abruzzesistica volle un'immagine delle donne in costume per la festa delle panicelle di san Biagio (Cfr., Vito Giovannelli, Taranta Peligna, Arte-Folclore-Paesaggio, Pescara, Edizioni Attraverso L'Abruzzo, Quaderno d'arte n°4, novembre-dicembre, 1974 ).
In un incontro a Pescara, presso la casa editrice Attraverso l'Abruzzo, diretta da Francesco Amoroso, mi descrisse dettagliatamente la figura del ceneraro. "La cenere è pesante sottolineò e per equilibrare il peso il ceneraro si serviva di una bisaccia a doppia tasca che portava suddivisa sul davanti e dietro le spalle". Per una migliore comprensione della figura del ceneraro, mi indicò un dipinto di Pasquale Celommi che accompagna, come immagine di anteprima, questo breve testo.
Vincenzo mi fece anche i nomi di alcuni anziani che avevano svolto quel lavoro per diversi opifici di Taranta Peligna. Ogni ditta, puntualizzò, aveva il suo fedele raccoglitore di cenere. Praticamente erano ex dipendenti dello stesso opificio laniero tra i quali si ricordano quelli delle ditte: Nicolangelo Mancini, Tommaso Del Duca, Fratelli Cipollone, Fratelli Di Lauro, Fratelli Tella e, ovviamente, la ditta fratelli Merlino.
Il ceneraro, chiaramente, non è un artigiano. La sua attività rientra nelle prestazioni di servizio. Non è dissimile, infatti, da quella dei cenciai, tra le quali Marco Notarmuzi ricorda quella di Tubijolo, cenciaiolo di Villalago. (Cfr., Marco Notarmuzi, Eustacchio e Tecanera ovvero le tradizioni popolari di Scanno, Edizioni Deltagrafica,1993).
Oggi, con il progresso tecnologico, la cenere è sostituita dai sali di cromo e l'orina di gatto dall'ammoniaca, l'opera del ceneraro non serve più agli opifici lanieri. Trattasi, quindi, di una attività letteralmente scomparsa tra le tipicità dei lavori eseguiti dagli abruzzesi.