Incontro con gli Accademici della Delegazione Pescara Aternum dell’AIC per la rituale conviviale di Sant’Antonio Abate.
Tanti i convenuti per festeggiare accolti dal Delegato Giuseppe Di Giovacchino che ha aperto la conviviale parlando della festa del Santo, dei rituali relativi al consumo del maiale e delle tradizioni culinarie che sono i motivi conduttori della Accademia italiana della Cucina
Se si pensa a S. Antonio Abate la mente va al fuoco, agli animali e alle malattie guarite miracolosamente.
Sant’Antonio è un Santo fortemente sentito a livello popolare in quanto la sua figura è di una persona umile, amante della famiglia e degli animali. Sant’Antonio è vicino ai più deboli, agli emarginati e combatte duramente contro le tentazioni che il diavolo gli invia proprio per farlo cadere e uscire dal suo stato caritatevole e umile.
Sant’Antonio non cede e con forza rimane fedele al suo pensiero. Ma il Santo è ricordato sempre con una fiamma e un maialino e addirittura una malattia porta il suo nome.
Sant’Antonio nasce in Egitto nel 251 d.C. e quando rimane orfano si ritira nel deserto. Ed è proprio nel deserto che il diavolo lo tenta in vari modi, ma lui resiste e con alcuni discepoli comincia una vita monastica. Ma è la solitudine che lo attira ancora nel deserto dove vive da eremita fino alla sua morte nel 356 a ben 105 anni.
Tante sono le leggende che si raccontano sul maialino e il fuoco sempre presenti nelle iconografie del Santo. Questi due elementi sono accostati alla sua figura, ma furono i monaci di Sant’Antonio, gli Antoniani, che nel medio Evo allevavano animali da cortile e maiali che usavano per sfamare i poveri e per ricavare dal loro grasso un unguento che alleviava i malati afflitti dall’Herpes Zoster. Dalla cura con grasso del maiale la malattia fu poi chiamata Fuoco di Sant’Antonio.
Il fuoco è un altro simbolo e secondo una leggenda Sant’Antonio discese negli inferi per portare il fuoco agli uomini come simbolo di rinascita e la tradizione vuole che in alcuni paesi si accendano falò per bruciare l’anno vecchio e aspettare quello nuovo. Anche a Fara Filiorum Petri i cittadini preparano le Farchie grandi torri fatte di canne che si portano in piazza e si accendono la sera del 17 gennaio per propiziare un fecondo anno nuovo e bruciare tutta la negatività di quello trascorso.
L’incontro della delegazione Pescara Aternum si è tenuto il 24 gennaio con sette giorni dopo la ricorrenza, comunque nella settimana dedicata al Santo.
A parlare di Sant’Antonio Mimmo Marcantonio, un postulante che, con un ottimo risultato, si è proposto come relatore per la serata.
Una relazione che ha tenuto conto, non solo della vita e delle leggende del Santo, ma della sua persona che da semplice eremita diventa una figura leader sia in vita sia nella memoria delle sue azioni che ancora oggi ispirano modi di comportamento.
Un uomo, dunque, che ha saputo coinvolgere e dirigere e che nei secoli ha fatto nascere leggende e storie varie per gratificare la sua figura e desiderare sempre da seguirla. Così hanno fatto i monaci che dalla umile vita hanno reso leader il Santo nei secoli fino a i giorni nostri.
Simposiarca della serata conviviale il dott. Rocco Di Mascio che ha parlato del cibo e delle tradizioni proprie dei giorni invernali, quando il cibo abbonda soprattutto in concomitanza dell’uccisione del maiale.
La maialata non è una semplice mangiata, ma un vero rito alimentare con connotazioni religiose, culturali e sociali.
Si ricorda una maialata descritta da Omero nell’Odissea che parla di Eumeo il porcaio figlio di Maia. Il maiale era sacro a Maia, la madre, e da lei il nome maiale.
La carne di maiale è stata considerata impura, la purificazione, avvenuta considerando l’animale come mezzo curativo e innocuo, ha rappresentato una svolta per il consumo delle sue carni.
La maialata è una tradizione rustica che si fa quando si ammazza il maiale e tutti i partecipanti, i familiari e gli amici ne gustano le parti meno nobili e più povere, ma certamente non meno gustose.
Oggi alcuni piatti sono ritenuti prelibatezze come il cif e ciaf, i ciccioli, il brodo d’ossa, le costine, la coppa, il sanguinaccio dolce e salato e non sono più ritenuti poveri, ma piatti da veri gourmet da assaggiare con raffinatezza.
Così dopo le interessanti informazioni gli accademici hanno potuto gustare pietanze fatte con cibi tradizionali ben cucinate dal cuoco Pietro Di Maria e la sua brigata di cucina.
Per rimanere nella tradizione che vede la rappresentazione del Santo tentato dal Diavolo, la serata si è rallegrata con la presenza del Coro Folkloristico di Picciano. Di fama transnazionale. I componenti del coro mantengono attiva la divulgazione del dialetto con canti, teatro dialettale e varie esibizioni.