Avevamo chiesto, al termine dello scorso editoriale, un miracolo sportivo, al Delfino e agli Dèi del calcio. Si stava incredibilmente compiendo, ben oltre ogni più rosea previsione. Infatti con il solo pareggio a reti bianche, complici i risultati provenienti dagli altri campi, sarebbe addirittura giunta la salvezza diretta (ricorso del Trapani permettendo, ma di cui parleremo a parte), “accontentando” per di più lo stesso Chievo Verona, che per identici motivi si stava assicurando l’ottavo posto, ultimo utile alla disputa dei play off. Quando, però, mancavano appena cinque minuti al novantesimo, ecco giungere un episodio che avrebbe dovuto preoccupare Mister Sottil e gli undici biancazzurri in campo: su sponda di Djordjevic, Garritano sparava una palla quasi a colpo sicuro verso la porta di Fiorillo, che riusciva a compiere l’ennesimo, inutile, miracolo di questa stagione. Due minuti prima, il terzo allenatore (almeno questo il titolo di cui si fregia, così come d’altronde i suoi due illustri predecessori) del campionato 2019/2020 di casa Pescara, aveva però fatto scendere in campo il genero del presidente/mercante e il giovane e promettente attaccante da ben una rete a stagione, che in autunno, lo ricordiamo, era richiestissimo da vari club della Premier inglese. Segnali importanti, insomma, della volontà di retrocedere ad ogni costo. Mai sfidare le divinità calcistiche, che infatti, offese ben oltre il consentito, tre minuti più tardi hanno riconsegnato allo stesso Garritano un’altra invitante palla da mettere in rete, riuscendoci stavolta. A quel punto non si poteva chiedere più nulla a quella buona sorte che, in fondo, ha accompagnato il ragioniere nel corso di un decennio. A parte uno sterile e infantile tentativo di chiedere all’arbitro un inesistente rigore, non restava che attendere l’impietoso triplice fischio dello stesso.
Viviamo in uno strano Paese, che non premia i meriti di chi sa fare il proprio mestiere con serietà e onestà. La meritocrazia è considerata alla stregua di un fastidio. I poteri economici dettano legge e impongono persone e fatti al popolo. Il calcio non sfugge a queste regole, anzi, ne è forse lo specchio più evidente, in misura addirittura maggiore di quanto non sia la stessa politica. Pensiamo a quanti bravi allenatori sono a spasso, mentre scaldano le panchine tanti “signorsì”, che pur di avere un posto al sole, accettano passivamente ciò che il convento (il mercante) passa loro. Ma è alla categoria dei giornalisti che in realtà mi rivolgo, perché dopo il triplice fischio del signor Juan Luca Sacchi, in quel di Verona, al Bentegodi, lo scorso venerdì sera, quanti di loro si sarebbero dovuti nascondere con ignominia? In fondo li dobbiamo capire, la pagnotta bisogna portarla a casa e se scrivi la verità non è detto che il tuo editore la apprezzi. Non è poi così strano, quindi, se questa categoria, di cui anche chi vi scrive fa parte, però da Free Lance, anni luce lontano dalla distopica realtà dell’Ordine, contribuisce in maniera importante a mantenere l’Italia in posizioni degne di alcuni regimi africani e sudamericani ante litteram, nella classifica della libertà di stampa. Proviamo a fare un esempio extra calcistico. Oggi un po’ tutti, spinti dalla novità, magnificano la voglia di utilizzare i monopattini nelle nostre città. Un nuovo e moderno (…) mezzo di locomozione, alternativo e green, come si dice in questi casi. Se ora provassimo ad andare contro corrente e scrivessimo che esso è sì potenzialmente risolutivo dei problemi relativi al traffico e allo smog, ma allo stesso modo estremamente pericoloso, perché inserito in un contesto che non prevedeva esistesse, ebbene non faremmo altro che raccontare una sacrosanta verità, ma siccome non “va di moda”, saremmo additati come disfattisti o peggio.
Per quanti anni, insieme a pochi colleghi (ne cito due, Gianni Lussoso e Bruno Barteloni, non si offendano gli eventuali altri), abbiamo provato a spiegare, senza mai eccedere, ma sempre scrivendo in maniera esplicita, il perché e il per come Daniele Sebastiani tenesse in modo sempre più deciso, le redini societarie? Fatti salvi pochi commenti lusinghieri, che ringraziamo di cuore, per lo più solo accuse di disfattismo. Ma come? Non ringraziamo il presidente per esserci? Per far quadrare il bilancio? E se lui se ne andasse? Oggi finalmente tutti hanno aperto gli occhi, anche i senzienti reggitori di microfono (ma i giornalisti veri non dovrebbero essere quelli che, principalmente sanno scrivere?), ormai è, però, tardi. Per assurdo, in caso di retrocessione, saranno proprio loro a rimetterci. A noi, dal punto di vista giornalistico, poco cambia la serie in cui giocherà il Delfino. Soffriamo da tifosi, questo sì, ma cosa possiamo farci, se Giuseppe De Cecco decise a suo tempo di allevare, ingenuamente, una serpe in seno?
Dei possibili scenari futuri ormai hanno già tutti parlato e scritto. Si attende la risposta al ricorso del Trapani, che chiede la restituzione dei due punti di penalità per gli stipendi pagati in ritardo. Gliene sarà sufficiente uno solo per agganciare Perugia e Pescara in classifica, condannando alla serie C diretta la seconda e, probabilmente, anche la prima, dopo la disputa dei play out. Giusto o sbagliato? Non spetta a noi dirlo, la Giustizia, quella con la G maiuscola, se sincera, va comunque rispettata: dura lex, sed lex. Il brocardo di Ulpiano giunge sempre a destinazione, di solito con la precisione di un treno svizzero.
A preoccuparci ancora più della probabile retrocessione, sono state però le parole di Daniele Sebastiani a commento di questo futuro giudizio: “… nel caso dovessero accettare il ricorso del Trapani, significa che nel mondo del calcio si può fare di tutto (lo dice lui, eh…), quindi l’anno prossimo questa società non pagherà nessuno …”. Perbacco, questo vuol dire che resterà anche in serie C? Non ce ne libereremo mai, quindi? E va bene, d’altronde, cari amici tifosi, il calcio non è tutto, ci sono anche altri sport da sostenere, basket, pallavolo, pallanuoto, calcio a 5 … ah, no, scusate …