Non cambia il palcoscenico, anche per questa nuova avventura targata Camillo Chiarieri: l’accogliente e spaziosa Sala Flaiano dell’Aurum a Pescara. Tutte le Storie della Storia d’Abruzzo, con il consueto format in puro stile “serial televisivo”, hanno avuto inizio oggi e termineranno nel Marzo 2019, ripercorrendo in chiave cronologica quanto già in precedenza narrato nelle precedenti Serie, con l’aggiunta di alcuni nuovi argomenti inediti.
Partendo dalla lontana preistoria e fino agli albori dell’età romana, è stata soprattutto la religione, ma prima ancora la magia, a condurre per mano l’evoluzione umana in Abruzzo, con la maestosità della Maiella a fare da cornice nel corso di questo lungo e affascinante cammino. La sua forma tondeggiante, che ad alcuni ricorda la forma di un panettone, ma che il nostro narratore immagina meglio come una sorta di pandoro, grazie ai suoi celebri valloni, ha rappresentato nel corso dei millenni il più sicuro dei rifugi, fin da quando, non meno di 470.000 anni or sono, le prime avanguardie di Homo Erectus, non vi si sono insediate, sfruttandone i naturali anfratti e la ricca vegetazione, oltre che le numerose sorgenti d’acqua, fonte di vita primaria. Per ben 200.000 anni, i nostri antenati si limitarono a sopravvivere, grazie alla conservazione del fuoco, che non sapevano ancora accendere, operazione affidata per lo più alle donne. E proprio da quest’atavico ricordo che si diffuse, fino ai nostri giorni, l’immagine tutta femminile del cosiddetto “angelo del focolare”.
Come già accennato, quegli uomini si consegnavano a naturali stereotipi, che riconducevano a un qualcosa di magico cui affidarsi: entità superiori, in seguito meglio identificate come divinità, che avevano il compito di proteggere il loro agire quotidiano. Era lo stregone a fungere da tramite, figura che poi, quando la religione soppiantò la magia, fu sostituita dal sacerdote.
Al termine di quella lunga epopea umana che chiamiamo paleolitico, prima del neolitico, si ebbe un periodo di transizione che venne, infatti, denominato mesolitico, dal greco μέσος, medio (12.000/6.000 anni fa), nel corso del quale l’uomo iniziò a coltivare la terra, allevare gli animali e a riconoscere la Madre Terra (Grande Madre) come generatrice di vita, facendo persino sacrifici a essa, probabilmente nei periodi di carestia. Pur scendendo a valle, dove iniziò a costruire i primi villaggi, l’umanità non ha, però, mai dimenticato le proprie origini, quelle caverne profonde che, come una sorta di grembo materno, ne proteggevano le fragili vite, tornando sempre più spesso in quei luoghi ormai mistici, gli attuali eremi, dove si curava anche, grazie all’ausilio di acque uniche e salutari (idroterapia).
Affascinante il mitologico racconto che Chiarieri fa della dea Maia, la maggiore e forse più bella delle sette sorelle Pleiadi, che, in una delle tante leggende di cui si narra, sbarcò sulle coste del nostro Abruzzo, provenendo dalla Frigia, in cerca di erbe che potessero curare il figlio Ermes; purtroppo quando vi giunse, era pieno inverno, la neve e il ghiaccio ricoprivano le nostre terre, così che egli morì, per divenire, supino, ciò che oggi chiamiamo Bella Addormentata. Maia vagò disperata per i monti, finché anche lei venne meno e, raccolta da alcuni pastori, fu sepolta in cima alla montagna, in modo che potesse idealmente osservare il figlio per l’eternità. Probabilmente proprio partendo dal termine “Maia”, si è in seguito addivenuti a “Maiella”.
La parte conclusiva della narrazione odierna ha riguardato la “romanizzazione” dei pagani popoli italici che abitavano la nostra regione. Fu il Cristianesimo, infine, con le sue visioni negative e apocalittiche, a cercare di stravolgere la naturale bellezza di riti che da millenni erano tramandati dalle popolazioni autoctone, per garantirsi il favore delle divinità collegate alla vita, che ogni giorno era loro donata dalla Grande Madre Terra. Non ci riuscì del tutto, però, com’è possibile osservare anche ai giorni nostri, grazie a festività e tradizioni, come ad esempio Le verginelle di Rapino o I Serpari di Cocullo, che mescolano cattolicesimo e paganesimo, in una sorta di sapienti compromessi, che hanno accontentato davvero tutti.
Dopo la lettura di un’espressiva poesia della saggista Vivianne Crowley (vedi diapositiva), massima esponente della cosiddetta “religione della natura”, la wicca, i consueti applausi del folto pubblico, hanno salutato la fine della dotta e appassionante narrazione odierna. L’appuntamento è per i prossimi cinque incontri di questa nuova Serie, da sabato 19 novembre, con Il suo nome era Italia.
Foto I. Barigelletti