Nell’ambito del ciclo di incontri D’Annunzio e gli altri, promosso dalla Fondazione Edoardo Tiboni per la cultura e dal Centro Nazionale di Studi Dannunziani, lunedì 9 maggio alle ore 17.30, presso il Mediamuseum di Pescara, il noto dannunzista e studioso di Pascoli, Gianni Oliva, ordinario di Letteratura italiana all’Università G. d’Annunzio, ha tenuto la conferenza "D’Annunzio e Pascoli. Due maestri del Novecento". Egli ha tratteggiato i complessi rapporti tra Pascoli e D'Annunzio punteggiati di screzi e dissapori, ma anche di momenti di "fratellanza". Sostiene Oliva che i due grandi poeti che sono alla base del Novecento italiano, pur nella loro diversità, hanno in comune la dimensione estetica dell'esperienza, l'idea di una poesia come atto puro, capacità di "ritrovamento" del bello nelle cose, quella che è stata chiamata la "poetica dell'invenzione". La serata, coordinata da Dante Marianacci, presidente del Centro Nazionale di Studi Dannunziani, è stata allietata dagli intermezzi musicali del chitarrista Alessandro Parente, allievo del Conservatorio "Luisa d'Annunzio" di Pescara diretto da Massimo Magri, e da brani e lettere di D’Annunzio e Pascoli letti da Giovanni Patrì, allievo della Scuola di Teatro del Mediamuseum diretta da Paolo Rosato e Rossella Mattioli.
In sintesi, Pascoli dopo la laurea ottiene di insegnare al Liceo Classico di Matera, raccomandato da Carducci, suo insegnante, presso il Ministro. Inizialmente s’accontenta di occupare un sottoscala, quindi affronta serie difficoltà. Scrive "La colascionata a Severino Ferrari", che appare su "La Cronaca Bizantina", dove scrive anche D'Annunzio; sarà riveduta e ripubblicata con il titolo "Romagna". A Massa collabora con "La Vita Nuova" del critico Giuseppe Saverio Gargano e pubblica nove poesie, che saranno raccolte come "Myricae". Seguirà "L'ultima passeggiata", un opuscolo per nozze, notato da Gabriele d'Annunzio, scrittore per "La Tribuna", il quale in una recensione lo definisce "artefice di sonetti eccellentissimi". Pascoli è un intellettuale di campagna al confronto di D'Annunzio, dedito alla mondanità, alla gestualità, allo sport, ai cavalli. Inevitabile l’invidia (non totalmente confessata), finanche un risentimento (per la verità del tutto gratuito) verso il poeta pescarese. In seguito ad alcune sue allusioni critiche, D'Annunzio risponderà definendo Pascoli "una donnetta inacidita e pettegola", e gli consiglierà di "centellinare il fiasco e curare la stitichezza del suo cagnolino". Da un lato lo irride per il vizio di bere (che lo stroncherà all'età di 57 anni per cirrosi epatica), fatto notorio e risaputo; dall'altro lo colpisce nell'affetto dell’inseparabile suo fido Gulì. Gargano, soprannominato Rosito, fa da paciere tra i due. L'invidia è cagionata dal fatto che a Firenze ricorrono letture dantesche in ambienti dove D'Annunzio è invitato. Il risentimento di Pascoli è motivato, essendo egli un dantista eccellente con molti scritti sull'argomento. Alla fine Gargano riesce a mediare e a sortire la riconciliazione apparente. I due, nonostante le diversità, restano legati, seguitano ad andare di pari passo, anzi a studiarsi e comprendersi a vicenda in una sana competizione letteraria, generatrice di mirabili pagine di letteratura che va sotto il nome di decadentismo. Certo Pascoli è un poeta rurale, con il sentimento profondo per la natura, per il lavoro nella campagna, con l’attenzione per l'ornitologia, per le "alate creature" di cui trascrive perfino in sillabe i modi di cantare, attraverso l’uso "musicale" delle parole. Il suo famoso "fanciullino" è "musico", che cerca di captare i suoni delle cose. La realtà si può riprodurre attraverso la sonorità, tant'è che le sue parole sono "tessute". Scelte nel "fonosimbolismo", nell' “onomatopea”, vengono usate parole che hanno una sillabazione sonora, a tal punto che già la loro proclamazione dà il senso delle cose. Quindi siamo di fronte ad una "tessitura" della poesia, che non è per nulla "divinazione" o “ispirazione”, ma duro lavoro: il poeta è un "artiere" in senso carducciano, cioè colui che lavora il verso a lungo per farlo risultare giusto. È la concezione della poesia che viene costruita, tessuta appunto attraverso un lavoro attentissimo di incanalazione delle sillabe, della sonorità delle cellule foniche delle parole. Argomenti, questi, analizzati nel recente libro del prof. Gianni Oliva dal titolo "Pascoli, la mimesi della dissolvenza", a cui rimandiamo per l'approfondimento.
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