Millecentodiciassette chilometri: più o meno da Reggio Calabria a Milano. Questa è la lunga strada che 82.181 tir carichi di rifiuti potrebbero coprire. Una interminabile autocolonna “immaginata” sommando i quantitativi di rifiuti (2 milioni di tonnellate) sequestrati in Italia solo in 12 delle 29 inchieste per traffico illecito di rifiuti messe a segno dalle forze dell’ordine nel corso del 2010. Una strada impressionante eppure ancora sottostimata, perché i quantitativi sequestrati sono disponibili per meno della metà delle inchieste ma anche perché, com’è noto, viene normalmente individuata solo una parte delle merci trafficate illegalmente.
540 campi da calcio, invece, possono rendere l’idea del suolo consumato nel 2010 dall’edilizia abusiva, con 26.500 nuovi immobili stimati. Una vera e propria cittadina illegale, con 18.000 abitazioni costruite ex novo e la cementificazione di circa 540 ettari.
In Italia sono 290 i clan ben impegnati nel business dell’ecomafia censiti nel rapporto, 20 in più rispetto al 2009; 19,3 miliardi di euro invece è il giro d’affari stimato per il solo 2010.
Bastano questi semplici esempi a illustrare la gravità del saccheggio del territorio descritto e analizzato nel rapporto Ecomafia 2011 di Legambiente, presentato oggi a Roma presso la sede del Cnel.
Per la sua collocazione strategica e i suoi porti, l’Abruzzo è da decenni uno snodo importante per i traffici illegali, soprattutto quello di stupefacenti controllato dai clan campani e gestito in loco da quelli albanesi. Ma è anche un distretto produttivo legato all’industria e al ramo immobiliare che si presta da sempre a infiltrazioni e operazioni di riciclaggio. Le inchieste degli ultimi anni hanno dimostrato anche come il tessuto economico della regione abbia subito pesanti infiltrazioni della criminalità organizzata, camorra e ‘ndrangheta soprattutto.
Nel 2010 si piazza undicesimo nella classifica delle regioni per illegalità nel ciclo dei rifiuti, con 239 infrazioni accertate, 250 persone denunciate e 10 arrestate, 60 sequestri effettuati dalle forze dell’ordine. Sono state 4 le inchieste ex articolo 260 (reato di organizzazione di traffico illecito), condotte dalle procure di Napoli, Teramo, Santa Maria Capua Vetere e Pescara che hanno coinvolto imprese abruzzesi.
L’ultima risale all’8 aprile del 2011: il Noe di Pescara ha denunciato 13 persone e messo i sigilli ad alcune aziende di trattamento di rifiuti ferrosi in Abruzzo, Marche e Puglia.
«Anche quest’anno il rapporto sulle ecomafie pone l’Abruzzo al centro del traffico illegale dei rifiuti e del ciclo del cemento – sottolinea Luzio Nelli, della segreteria regionale di Legambiente Abruzzo – con la conquista di un decimo posto a fronte del dodicesimo posto individuato nel 2010 nelle illegalità ambientali. I dati ci mostrano come dalle 210 infrazioni del 2009 si passa a 990 del 2010, mentre dalla denuncia di 217 persone si passa, in un solo anno, alla denuncia di ben 789. Questo evidenzia l’interessamento mai sopito, da parte delle organizzazioni malavitose, di penetrare nel tessuto economico della nostra regione (testimonianza ne sono gli accadimenti sul traffico dei rifiuti a Teramo e a Sambuceto, e anche gli allarmi della magistratura aquilana sulla Ricostruzione), ma dall’altra anche un rafforzato controllo da parte delle autorità competenti. In questa fase è fondamentale per la nostra regione non disperdere il prezioso lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine: bisogna tenere sempre alto il livello di guardia e l’impegno. Questa situazione potrebbe degenerare ancora di più se la nostra regione dovesse precipitare in emergenza rifiuti».
Tra le operazioni che hanno visto coinvolte aziende abruzzesi, citate nel dossier ci sono la “Emelie”, che ha sgominato un’organizzazione dedita allo smaltimento e al traffico internazionale di rottami metallici che si è conclusa con il sequestro di sette aziende, quattro delle quali con base a Chieti Scalo, Montesilvano e Fermo; l’operazione “Ragnatela”, traffico illecito di rifiuti industriali che ha visto giocare un ruolo di primo piano da alcuni imprenditori di Lanciano; la gestione illecita e traffico di rifiuti speciali pericolosi che nel luglio scorso vedeva protagonisti alcuni imprenditori di Sambuceto; e smaltimento e traffico illecito di rifiuti nel teramano, tra cui anche di pneumatici.
Tra tutte spicca la vicenda legata alle acque di Bussi, che lo scorso maggio ha avuto esito non del tutto soddisfacente per Legambiente: la conclusione di un’udienza preliminare protrattasi per almeno due anni, tra i vari aspetti già sottolineati a loro tempo, ha portato infatti alla trasformazione del reato ipotizzato, da avvelenamento ad adulterazione, più lieve e prescrivibile in minor tempo.
A concludere affari con l’ecomafia è spesso un vero e proprio esercito di colletti bianchi e imprenditori collusi. Ampia disponibilità di denaro liquido da una parte, competenze professionali e società di copertura dall’altra hanno trovato nel business ambientale una perfetta quadratura. I ‘Sistemi criminali’ (dalla definizione del magistrato Roberto Scarpinato) sono la sintesi migliore per capire l’ecomafia di oggi. I ‘Sistemi criminali’, sono network illegali complessi dei quali fanno parte soggetti appartenenti a mondi diversi: politici, imprenditori, professionisti, mafiosi tradizionali. Il ‘sistema nervoso’ che mette in comunicazione tra loro tutti i soggetti è costituito dai cosiddetti colletti bianchi, persone con un curriculum di rispettabilità, sociale ed economica. Senza il loro concorso, molti affari illegali non si potrebbero neppure immaginare. È in questo ‘Sistema’ che il virus si modifica, cambia strategia di diffusione, cerca di diventare invisibile agli anticorpi.
Ecomafia 2011. Le storie e i numeri della criminalità ambientale
a cura dell’Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente
Edizioni Ambiente (Annuari) - 432 pagine, euro 24,00