Un evento di grande impatto e ricco di contenuti, con ospiti di immenso spessore morale, quello che si è svolto nel pomeriggio di ieri presso la Sala dei Marmi della Provincia di Pescara, patrocinante dell’incontro. Alla presenza di un pubblico non particolarmente nutrito a causa di altri concomitanti appuntamenti, ma certamente attento e qualificato, fra cui il Sindaco di Pescara Marco Alessandrini e il Presidente della Provincia, Antonio Di Marco, che a nome dell’amministrazione e di tutti i sindaci del comprensorio, da lui rappresentati, ha fatto gli onori di casa, salutando la presenza degli ospiti e ringraziando l’associazione ESPRESSIONE LIBRE, organizzatrice dell’avvenimento, ha avuto luogo un dibattito estremamente significativo.
Il vero mattatore è stato senza dubbio Alfredo Morvillo che ha, senza mezzi termini né eufemismi, narrato episodi specifici e aneddoti che hanno attraversato gli ultimi 22 anni della storia siciliana (ma non solo), a partire da quel fatidico 23 maggio 1992, giorno tristemente impresso nella nostra memoria, allorquando, nei pressi di Capaci, un ordigno di impressionante potenza distruttiva fece strage dei corpi di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo (sorella di Alfredo) e di tre uomini della scorta. A suo dire la mafia avrebbe già da tempo potuto uccidere il giudice Falcone, semplicemente utilizzando un killer, ma preferì farlo in modo “spettacolare” affinché fosse di esempio nei confronti di chi, istituzioni in primis, potesse mettere in dubbio il suo potere.
A una precisa domanda del consigliere comunale Massimiliano Di Pillo, socio storico di Espressione Libre, in merito al cosiddetto “Protocollo farfalla”, reso celebre dal libro di Maurizio Torrealta, già ospite dell’associazione il 23 gennaio 2013, diretta a Francesco La Licata, giornalista che ha dedicato gran parte della sua vita e della sua carriera a inchieste sulla mafia, lo stesso ha modo di spiegare che si è trattato di una particolare attività investigativa; utilizzando un “provocatore”, dopo aver piazzato svariati microfoni all’interno delle carceri in cui erano rinchiusi alcuni mafiosi in regime di 41 bis, si induceva questi ultimi a parlare, rivelando in tal modo alcuni di quei segreti che sarebbero dovuti servire per il prosieguo di indagini specifiche. Le rivelazioni che ne sono scaturite hanno fatto emergere quelle inconfessabili verità che portano il nome di trattativa Stato-Mafia, oggetto negli anni a seguire di indagini e processi infiniti.
Nel ricordare che la malavita organizzata non è certo solo un problema siciliano, David Mancini, attuale Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di L’Aquila, pur ammettendo che vi sono aree del territorio nazionale a maggior rischio di infiltrazioni mafiose, come ad esempio la Lombardia, sottolinea che l’Abruzzo, ancor prima del terremoto che ha sconvolto nel 2009 il capoluogo della nostra regione, non può certo essere considerata una cosiddetta “isola felice”, come erroneamente si immaginava un tempo: la presenza di molti capi-clan camorristici che risiedono e “operano” a Pescara e dintorni, è purtroppo ormai un fatto acquisito e acclarato.
Sollecitato dai suddetti argomenti, il Procuratore Morvillo, come ormai non disdegna da tempo di fare, espone a tutti i presenti quale sia la “visione” dei siciliani nei confronti della mafia, una sorta di “condizione acquisita e accettata”, che li porta ad avere rapporti diretti con i capi territorio, riconoscendoli come alternativi, in termini di efficacia, allo Stato. Ad esempio un personaggio come Totò Cuffaro, già presidente della regione Sicilia, seppur condannato in via definitiva a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio, in carcere dal 2011, se per assurdo venisse oggi scarcerato e si ricandidasse, con molta probabilità verrebbe di nuovo rieletto, avendo egli fatto favori a mezza Sicilia e potendo quindi contare su di un bacino di voti praticamente inesauribile a prescindere.
Secondo Morvillo, l’ipocrisia delle Istituzioni, che ricordano le stragi commemorandole, ma senza fare nulla di concreto, è riprovevole e infanga la memoria di quei servitori dello Stato, come appunto Falcone e Borsellino, che in esso credevano e che per esso hanno vissuto fino alla morte.
Al termine dell’incontro, il dott. Mancini lancia un monito e al tempo stesso un appello a chi si occupa di legiferare: “il maggior limite del processo penale in Italia è la Prescrizione, un’istituzione che non esiste in nessun altra nazione al mondo, che impedisce ai magistrati di lavorare con la necessaria serenità e spesso rende vani anni di lavoro e di indagini”!
Il tempo tiranno costringe alla chiusura, ma gli applausi e le tante strette di mano della platea agli ospiti rendono esplicita la soddisfazione per aver assistito e partecipato ad un evento davvero speciale: vivere per la legalità in una società corrotta non è facile, ma chi ci crede non ha intenzione di rinunciarvi, anche a prezzo della libertà.