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Una panchina blu per dare voci ai detenuti: l’iniziativa di Quei Bravi Ragazzi Family parte dall’Abruzzo

Un gesto semplice ma carico di significato: parla la presidente Nadia Di Rocco

Redazione
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Un gesto semplice ma carico di significato: una panchina blu, con una targhetta dedicata ai diritti dei detenuti, diventa il fulcro di una campagna nazionale per accendere i riflettori sull’emergenza carceraria. A promuoverla è l’Associazione Quei Bravi Ragazzi Family di Roma (con sede operativa anche a Teramo), che ha scelto il colore del “fornellino”, simbolo universale di sopravvivenza e resistenza tra le sbarre, per lanciare un messaggio forte alle istituzioni e all’opinione pubblica.

Si parte dall’Abruzzo, con le prime due installazioni che verranno posizionate in luoghi individuati in zone centrali dalle amministrazioni comunali, a Pescara e Chieti (entro il mese di marzo), per poi proseguire con Teramo e Ascoli fino a coprire l’intero territorio nazionale.

L’installazione, che verrà collocata in tutte le città con istituti di pena, non è solo un monito contro le 90 morti in custodia nel 2024, ma un atto d’accusa verso un sistema che, secondo l’associazione, calpesta quotidianamente la dignità umana. «Questa panchina è la voce di chi non ha voce: ricorda che privare della libertà non significa cancellare i diritti, dichiara Nadia Di Rocco, presidente dell’Associazione Quei Bravi Ragazzi Family, ogni sopruso, ogni angheria subita in carcere è una ferita alla coscienza collettiva. Lo Stato non può più voltarsi dall’altra parte davanti a celle sovraffollate, cure negate e violenze sistematiche. La rieducazione è un pilastro della democrazia: se cade quello, cade tutto”.

Il progetto mira a scuotere l’indifferenza, trasformando luoghi pubblici in spazi di riflessione. La scelta del blu non è casuale: è il colore delle lattine riadattate a fornelli improvvisati dai detenuti, metafora di un’esistenza sospesa tra attesa e resilienza. “Vogliamo che chi passa si fermi, legga e si chieda: cosa significa civiltà in un Paese dove le carceri possono diventare camere di tortura?» Continua Nadia Di Rocco.

L’iniziativa punta a sollecitare risposte concrete dalle istituzioni, denunciando omissioni, negligenze e violazioni che trasformano la pena in una condanna a sopravvivere, non a riscattarsi. “Il sistema penitenziario è lo specchio di una nazione – conclude Nadia Di Rocco –. Se vogliamo dirci davvero civili, dobbiamo garantire che nessuno, neppure chi ha sbagliato, perda la propria dignità”.

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