Il D’Annunzio (s)conosciuto

Aneddoti e curiosità sul Vate

Fabio Rosica
12/03/2015
Personaggi
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“Figlio mio, sei nato a Pescara, il 12 di marzo, di venerdì, certamente avrai un grande futuro”, queste, non sappiamo se testualmente e nell’ordine citato, le parole che Luisa De Benedictis (leggi l'approfondimento su Luisa De Benedictis) proferì nell’attimo stesso in cui le consegnarono fra le braccia, appena nato, il terzo dei suoi cinque figli: Gabriele.

L’episodio, tramandato, ma mai del tutto accreditato, ha il chiaro sapore della leggenda, la stessa che avvolse D’Annunzio nel corso della sua vita, ricca come poche di episodi e circostanze aneddotiche che oggi, ad oltre 150 anni dalla nascita, proveremo a riassumere.

Si dice che i segni zodiacali non abbiano alcun fondamento concreto (difficile, in effetti, dimostrare il contrario) nella lettura degli oroscopi, ma certamente se fin dall’infanzia t’inculcano nella mente le caratteristiche del tuo, beh è molto probabile che nel corso degli anni tu sia indotto ad assimilarle, essendo psicologicamente condizionato. Sarà stato così anche per Gabriele? Le parole della madre lo avranno influenzato al punto tale da convincersi in maniera estremamente consapevole della sua superiorità intellettiva rispetto alla massa? Non lo sappiamo, ma ci piace pensare che sia stato proprio così. Quella che a molti appariva come “vanità” altro non era che la volontà di celebrare la sua intelligenza in relazione alla mediocrità che spesso lo circondava, di sicuro non voleva apparire come un falso modesto.

Nell’occasione di un avvenimento celebrativo del Sommo Poeta (all’epoca andava “di moda” discutere di Dante Alighieri) fu chiamato a partecipare a una tavola rotonda, ma senza esitazione alcuna rispedì al mittente l’invito: “Oggi, in Italia, non può parlare di Dante che un ministro, un professore o un imbecille … ed io non appartengo a nessuna di queste importanti categorie!”. Da questo episodio è possibile evincere in buona parte il pensiero dannunziano, scevro da ipocrisie e convenzioni, umane catene che imprigionano la quasi totalità della razza umana, liberandosi delle quali è possibile assurgere a uno status superiore, quello dei “grandi” per intenderci, che hanno avuto la capacità innata di tracciare nuove strade anziché seguire quelle già costruite. Difficile immaginare che sarebbe stato felice di sapere che a lui fossero intitolate scuole e Università, luoghi “chiusi” ben lontani da quelli aperti come le spiagge che adorava.

Come quasi tutte le persone fornite di un’intelligenza superiore, D’Annunzio era dotato di una forte e istintiva carica ironica, arma spesso ben più letale di quelle convenzionali, con la quale amava colpire tanto i suoi detrattori quanto i suoi falsi adulatori. Ad esempio quando partecipava ai salotti mondani dell’epoca, era solito chiedere ai presenti cosa ne pensassero della sua ultima opera e, spesso la maggior parte di loro, pur di compiacerlo, iniziavano a tesserne le lodi senza entrare troppo nello specifico … cosa che non avrebbero potuto fare nemmeno volendolo perché … quell’opera in realtà non era mai stata scritta, ma si era inventato un titolo di sana pianta esclusivamente per poter poi mettere in imbarazzo quegli ospiti che lui riteneva sciocchi e inadeguati.

Anche nel suo rapporto con le donne non trascurava di mettere in luce le differenze fra una persona “qualunque” e una come lui: “… nessuna cosa gli avrebbe fatto dolore quanto l’esser da lei creduto un uomo comune …” (tratto da Il Piacere). In un’altra occasione mondana, disquisendo su quale fosse la donna più difficile da conquistare, uno dei presenti affermò: “la donna innamorata di un altro”; un secondo invece: “la frigida” e così via; quando giunse il suo turno, non si smentì: “la sciocca”.

Della sua ossessiva e variegata ricerca del “piacere”, in ogni sua forma e aspetto, non possiamo trascurare anche quella per la buona tavola, anch’essa fonte d’ispirazione per D’Annunzio. Quasi tutti i pescaresi, ad esempio, conoscono il celebre madrigale composto per celebrare il Parrozzo (leggi l'approfondimento sul Parrozzo), il dolce locale per antonomasia e che Luigi D’Amico, suo creatore, gli fece assaggiare in anteprima: “È tante ‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè, c’avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce… e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce…”; in pochi sanno però che proprio a lui si deve l’invenzione del termine “tramezzino”, ovvero come egli spiegò, “posto tra due cose”, coniazione richiestagli dal Regime alla fine degli anni ’20 per creare un’alternativa nostrana all’odiato inglese “sandwich”.

Quest’ultimo aneddoto ci offre l’opportunità di chiarire (o almeno provare a farlo) il rapporto del Vate con il Fascismo. Che i suoi scritti abbiano delle affinità con il quasi contemporaneo Nietzsche, teorizzando il Superuomo come colui che per elevarsi al di sopra della mediocrità deve confrontarsi tanto con il bene che con il male (concetto, tra l’altro, idealmente riproposto da George Lucas nella saga di Star Wars), non è certo un segreto, pertanto il Fascismo, scaltramente, lo celebrava in ogni occasione, non ricambiato però, tant’è che D’Annunzio non prese mai la Tessera del Partito Nazionale, volendo a tutti i costi mantenere una sorta di neutralità. Mussolini certamente non lo amava, ma ne temeva la fama e la sua volontà indipendente, decidendo pertanto che era meglio farselo amico, ricoprendolo spesso di onori e privilegi, anche in termini economici e D’Annunzio, spesso in bolletta, semplicemente ne approfittò, ritenendo fosse stupido (e lui di certo non lo era) schierarsi apertamente contro un regime ormai totalmente al vertice dello Stato.

Chi si è recato almeno una volta al Vittoriale avrà senz’altro notato gli ingressi di due stanze attigue, una per gli ospiti graditi e l’altra per quelli sgraditi e indovinate in quale di queste fece fare anticamera a Benito Mussolini per ben tre ore, in un’occasione, prima di riceverlo? E’ cosa nota che diffidasse massimamente di Hitler e pertanto non mancò, nonostante quanto detto prima, di criticare apertamente la svolta nazista della politica italiana. Tra l’altro alcuni episodi portano a non escludere del tutto l’ipotesi che il Duce avrebbe di sicuro (non apertamente) esultato se “in qualche modo”, più o meno naturale, D’Annunzio fosse passato a miglior vita prima del previsto, tanto che si sospettano alcuni tentativi di attentati nei suoi confronti, fra cui vale la pena ricordare la “misteriosa” caduta, nel 1922, da una finestra della sua villa, episodio mai del tutto chiarito.

Ci sembra pertanto logico immaginare che in cuor suo il Vate non abbia mai approvato il fascismo, fatta salva una possibile sorta di curiosità iniziale che lo fece, brevemente e temporaneamente, avvicinare a quegli “ideali”; per cui ogni sorta di strumentalizzazione politica della sua immensa, sebbene discussa, figura, lasciano il tempo che trovano. Pescara e l’Abruzzo possono solo sentirsi orgogliosi di aver dato i natali a uno degli ultimi geni della letteratura (e non solo) mondiale ed è un vero peccato che la scuola italiana, proprio all’autore della celebre massima memento audere semper, neghi lo studio integrale delle opere dannunziane, che certo non possono essere ricondotte a semplici poesiole quali “La pioggia nel pineto” o “Settembre”, davvero ben poco rappresentative del suo pensiero.

Al termine del nostro piccolo percorso riprendiamo l’incipit iniziale e giustamente tributiamo “mamma Luisa”: dopo tutto aveva visto giusto nel prevedere una vita non comune per il suo Gabriele.

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