Il Lunedì del Delfino

Non tutti i "14" sono uguali

Fabio Rosica
28/03/2016
Sport
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Era sembrato di buon auspicio il rientro in campo del vero leader del Delfino, stiamo parlando, chiaramente, di Hugo Campagnaro. Per tutto il primo tempo, la Ternana aveva trovato un inviolabile muro nella difesa perforabilissima, almeno nelle ultime settimane, dei biancazzurri. Certo l’attacco umbro non è parso un banco di prova particolarmente impegnativo, ma il consueto svarione che solitamente punisce senza pietà il Pescara, ovvero il calcio d’angolo a tempo scaduto, inopinatamente provocato da una svirgolata di Dario Zuparić, di norma avrebbe decretato il vantaggio dei rossoverdi padroni di casa, invece proprio un’acrobatica rovesciata al centro dell’area di rigore, del nostro argentino, aveva evitato il peggio.

Invece è finita male lo stesso, perché nonostante tutto, almeno una rete, i nostri avversari riescono ormai a infilarla sistematicamente alle spalle del nostro estremo difensore, in questo caso il “sufficiente” Simone Aresti, schierato a furor di popolo al posto del “pericoloso” (per i nostri colori …) Vincenzo Fiorillo.

Sul fronte offensivo ci è mancato davvero tanto (chi mai lo avrebbe detto a inizio stagione?) lo squalificato Gianluca Caprari, ormai l’unico in grado di saltare l’uomo e creare occasioni da rete anche nelle giornate di scarsa vena (che per la cronaca sono già nove consecutive) dell’ex reparto migliore della cadetteria.

Per il resto, ahinoi, bisogna necessariamente ripetersi e confermare, per il momento, di avere elogiato troppo frettolosamente, nella prima parte della stagione, le doti tecnico-tattiche di un Massimo Oddo che appare svuotato e privo d’idee, quasi impaurito di fronte alle telecamere, senza risposte, pieno di dubbi, forse consapevole di non essere all’altezza del compito affidatogli. Poiché ci sembra una bravissima persona, un ex calciatore cui lo sport italiano deve molto, oltre che una gloria locale, gli auguriamo un futuro migliore, magari rinascendo dalle ceneri di quest’assurda stagione, proprio come un’araba fenice. Nel frattempo però il Delfino sta affogando e il suo banco di prova ci sta costando l’ennesima annata da dimenticare.

Partendo dalla formazione schierata, i cui ⑩/⑪ erano in pratica scontati, viste le assenze forzate, è riuscito a “sbagliare” l’unica opzione possibile, ovvero quella della spalla in attacco di Gianluca Lapadula, riproponendo per l’ennesima volta il fantasma di Andrea Cocco, preferendolo ai vari Cristian Pasquato, Alexandru Mitrita o anche Pierluigi Cappelluzzo e Joel Acosta, apparsi nettamente più in palla, quando chiamati in campo, rispetto all’ex attaccante sardo. Siccome al peggio non c’è mai fine, evidentemente in chiara confusione, fallisce ormai sistematicamente anche i cambi in corso gara. Lodevole, in teoria, l’intenzione di schierare la difesa a tre, per avere maggiore fluidità sulle fasce, ma con chi ha immaginato di attuare la modifica? Con l’unico elemento che, ne siamo praticamente certi, mai nessuno, fra addetti ai lavori e tifosi, a quel punto avrebbe immaginato di vedere in campo, ovvero quell’Antonio Mazzotta che, dispiace davvero dirlo, ha contribuito in maniera importante al regresso tattico del Pescara, scaturito in questa crisi senza fine. Non è certo un caso se, dopo una serie di appoggi errati, in meno di dieci minuti dal suo ingresso, la Ternana, nell’unica vera occasione di tutto la gara, sia passata clamorosamente e definitivamente in vantaggio.

Vogliamo trovare una giustificazione di carattere scaramantico - sentimentale che Massimo Oddo potrebbe aver deciso di attuare in un periodo così negativo, al punto da essere forse costretto a ricorrere a “prodigi” che però nulla hanno a che vedere con gli studi di Coverciano: il numero di maglia di Andrea Mazzotta è il 14, lo stesso dell’indimenticabile, immenso, Johan Cruijff, che ci aveva lasciati proprio quarantotto ore prima. Se così fosse stato, saremmo quasi tentati di giustificarlo, anche perché ci ha dato modo di terminare il nostro editoriale, in via del tutto eccezionale, in stile Orange, anziché bianco e azzurro.

Ebbene sì, torneremo a disquisire dei nostri colori fin dal prossimo lunedì, comunque si concluderà la sfida di sabato 2 aprile, quando ospiteremo il Como, fanalino di coda della Serie B, ma in grado di schierare il sogno proibito del Presidente Sebastiani per la prossima stagione: Simone Andrea Ganz, figlio d’arte.

Doveroso, pertanto, ora il ricordo di un calciatore, di un uomo, simbolo eterno di una rivoluzione calcistica che ha modificato per sempre il mondo del pallone, al punto che fino a oggi, ma sicuramente anche in futuro, tutti gli addetti ai lavori gli sono e gli saranno debitori. Johan Cruijff fece brillare la sua classe cristallina a cavallo dei periodi d’oro di Pelè e Maradona, fu l’anello di congiunzione fra i due fuoriclasse sudamericani, un europeo così diverso da loro, ma ugualmente dotato di quel dono divino che ogni tanto gli Dèi del calcio decidono di consegnare a pochi fortunati. Il vizio del fumo gli è costato caro, ma da uomo sensibile e intelligente qual era, nell’ultimo periodo della sua esistenza terrena si era dedicato anima e corpo alla lotta contro questo terribile nemico, che ogni anno uccide in tutto il mondo circa sei milioni di esseri umani, come mostra questo video girato alcuni anni fa per la Tv spagnola.

Quando, alla vigilia dei Mondiali del 1978 in Argentina, si rifiutò di vestire la maglia della sua Nazionale, sdegnato dalle atrocità che erano commesse in quel Paese, ne decretò la possibile mancata vittoria, appannaggio, infatti, proprio dei sudamericani, che sconfissero i suoi compagni in finale, mentre con lui in campo sarebbe stata certamente un’altra partita. Per Johan era molto più importante un gesto eclatante di rinuncia, per denunciare al Mondo intero cosa stesse realmente accadendo, piuttosto che alzare al cielo un trofeo insanguinato. Addio Campione, non ti dimenticheremo mai.

 

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