Camillo Chiarieri e le Storie della Storia d'Abruzzo - Quarta puntata della III Serie

L'età degli Aragona

Fabio Rosica
13/02/2016
Tradizioni
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L’odierno incontro, il quarto della III Serie delle Storie della Storia d’Abruzzo, svoltosi come consuetudine nell’ampia Sala Flaiano dell’Aurum di Pescara, si riallaccia al filone “storiografico”, tramite la narrazione degli avvenimenti e degli uomini che hanno tracciato, nel bene e nel male, i profili identitari della nostra regione nel corso dei secoli.

Camillo Chiarieri, dopo averci raccontato, quasi un anno fa, nel marzo del 2015, L’età dei Longobardi e nel secondo degli appuntamenti di questa serie, lo scorso dicembre, L’Abruzzo dai Normanni agli Angioini, ha idealmente “chiuso” oggi l’ideale terna di narrazioni, con L’età degli Aragona.

Gli avvenimenti del Quattrocento abruzzese, in particolare quelli bellici, hanno avuto come epicentro la città dell’Aquila. Le battaglie, a volte le guerre, gli assedi che si sono succeduti dentro e fuori le sue mura, determinarono confini, resero leggendarie le imprese di sovrani e condottieri e bilanciarono l’economia dell’epoca in un susseguirsi di periodi bui e luttuosi, alternatisi ad altri, fortunatamente floridi e ricchi dal punto di vista artistico e culturale.

Personaggi quali Braccio da Montone, detto Fortebraccio, perugino, deceduto in combattimento nel futuro capoluogo abruzzese, al termine della battaglia di Bazzano, epilogo di un assedio durato tredici mesi, nel giugno del 1424, o Jacopo Caldora, feudatario di Pacentro, autore del celebre motto Coelum coeli Domino, terram autem dedit filiis hominum (“la terra è di chi solamente ha la forza necessaria per annetterla ai propri domini”), hanno reso immortali le loro stesse esistenze, grazie alle gesta di cui si resero protagonisti.

L’epoca d’oro degli angioini ebbe definitivamente termine il 26 febbraio 1443, quando Alfonso V D’Aragona entrò trionfalmente, con il suo esercito, nella città di Napoli, ponendo le basi per il periodo oggi narrato e cui la sua famiglia dette nome. Il magnanimo, come fu soprannominato, si stabilì nel capoluogo del regno fino alla sua morte, avvenuta quindici anni dopo a causa della malaria, prodigandosi per rendere splendida la città partenopea, abbellendola più che mai e rendendone florida l’economia e di ciò trassero benefici anche i nostri territori, grazie soprattutto allo sviluppo della pastorizia, con la produzione di ottima lana e la coltivazione dello zafferano.

Nel corso dei decenni, molte furono le vicissitudini che resero alterne le fortune dell’Abruzzo e delle sue principali città, in epoche dove intere famiglie si confrontavano e scontravano per il dominio dei territori, come le aquilane Camponeschi e Gaglioffi, ma furono soprattutto le lotte intestine fra i vari sovrani, protagonisti di vicende che potrebbero fornire spunti, nei giorni nostri, per decine di sceneggiati e film, che decretarono il sorgere di periodi assai floridi a tramonti di anni mesti e sanguinosi.

Fortunatamente lo splendore naturale dell’Abruzzo, nel corso degli anni in cui regnò la pace, vide lo sviluppo artistico di grandi uomini d’ingegno, fra i quali vale la pena ricordare il pittore Andrea De Litio e gli scultori Nicola Gallucci da GuardiagreleSilvestro dell’Aquila, autori di opere magnifiche, che fanno bella mostra di loro nelle più belle cattedrali della regione; non furono da meno alcuni immensi artigiani, come Rocco Di Santo di Pescocostanzo, assoluto maestro nella lavorazione del ferro battuto e tanti altri provenienti dallo sterile territorio lombardo, in cerca di fortuna nelle verdi e fiorenti cittadine abruzzesi, le cui consorti fecero innamorare le donne del luogo della lavorazione del tombolo, per cui arte la nostra regione è divenuta celebre e apprezzata.

Dal regno di Ferdinando I d’Asburgo, si passò per quello breve e transitorio di Alfonso II, che travolto da persistenti incubi notturni, abdicò in favore del figlio, Ferdinando II, detto Ferrandino, il quale perse il regno per opera di Carlo VIII di Francia, riconquistandolo però a distanza di pochi mesi dello stesso anno (1495) nel corso della battaglia di Seminara; ebbe vita breve, a causa di una misteriosa malattia che lo colpì pochi giorni dopo le nozze con l’amata Giovanna. Gli succedette lo zio, Federico I, ultimo re della Napoli non assoggettata a domini stranieri, infatti, nel corso del suo regno la città perse la sua indipendenza.

Tanti furono i regnanti che si succedettero, da Ferdinando III, detto il cattolico, a Giovanna la pazza, fino al grande Carlo V d’Asburgo, sul cui regno non tramontava mai il sole. In quel periodo visse il celebre condottiero Fernando Francesco d’Avalos, Marchese di Pescara, marito dell’intellettuale e poetessa Vittoria Colonna, entrambi celebri personaggi della storiografia locale.

La figlia dell’amante di Carlo V, Margherita d’Austria, gli succedette, regnando fino alla morte, avvenuta in quel di Ortona, il 18 gennaio 1586. Fu quello l’ultimo periodo di minimo splendore, anche per il nostro Abruzzo. Nei quattro secoli successivi, tra corruzione, ladrocini vari e tasse quanto mai esose, la decadenza economica e sociale prevalse su ogni cosa e da allora, fino ai giorni nostri, fatta eccezione, forse, per gli anni del cosiddetto periodo dannunziano precedente la Seconda Guerra Mondiale, nulla è cambiato: la cattiva politica e il malaffare non hanno mai smesso di seviziare un territorio ricco e affascinante come pochi.

Con l’augurio che i cittadini, almeno le future generazioni, sapranno cambiare in positivo l’ordine degli eventi, Camillo Chiarieri ha dato appuntamento all’ultimo incontro di questa III Serie: i Benedettini in Abruzzo, sabato 19 marzo alle ore 17:00.

 

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