Presentazione del libro "Né per bellezza né per ricchezza" di Anna Maria De Sanctis a Pescara

Leonardo Paglialonga
05/10/2015
Arte
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Giovedì 24 settembre alle ore 17, presso la sala “La figlia di Iorio” del Palazzo della Provincia di Pescara, si è tenuta la presentazione del libro della professoressa Anna Maria De Sanctis Né per bellezza né per ricchezza”. L’Autrice rievoca in questo libro la sua infanzia e adolescenza a Spoltore, ripercorrendo amorosamente le memorie familiari, rivissute privilegiando le figure femminili anche delle generazioni precedenti. Con l’Autrice ne hanno parlato la dott.ssa Gabriella Serafini, presidente della Settembrata Abruzzese, e l’ avv. Giovanni D’Alessandro. Il prof. Francesco Morelli ed Eleonora Silvidii hanno letto alcuni brani del libro, accompagnati dalle note musicali della violinista Giulia Pieramico.

Un passato familiare rievocato con incisività, uno sguardo profondo all’anima dei protagonisti e degli avvenimenti descritti sapientemente in questo libro, in cui viene esaltato il ruolo della figura femminile, vera e propria ossatura della famiglia già da fine Ottocento. Rievocazione storica e memoria familiare che avvincono il lettore e fanno riflettere non solo sui tempi passati, ma anche su quelli attuali, dove c’è una indiscutibile perdita di quei valori che un tempo erano al centro della famiglia e quindi della società, anche se in un sistema sociale più rigido, ma più semplice. Perché questo libro rappresenta un prezioso memoriale di una cultura e di un modo di vivere di un certo Abruzzo in un determinato periodo storico sicuramente da rivalutare per guardare meglio al futuro. Non a caso questo evento è stato patrocinato anche dalla Settembrata Abruzzese, un’associazione composta da artisti, poeti, musicisti, commediografi, letterati che salvaguarda, conserva e diffonde la cultura del popolo abruzzese. E questo libro – dice Gabriella Serafini – “decanta e rappresenta la cultura abruzzese fatta soprattutto da persone umili”, legate alla propria terra e alle proprie radici, che conservano determinati valori da custodire e tramandare, nonostante la globalizzazione imperante che tende ad appiattire le menti e le coscienze specie delle nuove generazioni. Nel libro di Anna Maria De Sanctis (detta Nanà da piccola) – come scrive Giovanni D’Alessandro nella prefazione al libro – “c’è un’evocazione di volti, di nomi e soprannomi, di luoghi, di vicende, di tempi e modi, a volte drammatici come per il periodo bellico, i quali segnano profondamente esistenze, quelle della madre, della nonna, delle zie e prozie dell’Autrice”. “Le donne sono le figure forti. Queste donne coi mariti lontani per la guerra a volte non sanno neppure se sono rimaste vedove; hanno figli neppure conosciuti dai mariti, in quanto concepiti prima che partissero per il fronte, da cui non sempre faranno ritorno; o torneranno provati, irriconoscibili, apparendo sui vialetti di casa come spettri, “a riempire di nuovo la casa”, dopo lo sbando dell’8 settembre, o a guerra mondiale finita”. Questo è il prezzo emotivo che hanno dovuto affrontare tanti uomini, tanti padri di famiglia, come fu per Luigi De Sanctis, detto Gino, padre di Nanà. I tempi a seguire con la ricostruzione cambieranno radicalmente la società arcaica, contadina e farà irruzione la modernità. Nanà crescerà ragazza di città, borghese, istruita mentre il padre lavorerà in un’amministrazione pubblica, quale l’Archivio Notarile di Chieti. Una società completamente trasformata rispetto al passato, ma almeno nel suo cuore Nanà continuerà a coltivare amorosamente una terra immateriale, che rimarrà sempre, immutabile, a fare da coprotagonista nel suo libro. Non a caso Anna Maria de Sanctis, nel descrivere un albero nell’incipit del libro, scrive “gli alberi non sono un nome o una referenza botanica. Sono il libro della storia umana, segnato dai cerchi del tempo, sono il pensiero primario e vigoroso che scorre in profondità e poi risale in mille trasformazioni”. L’Autrice ha amato in questo libro la sua terra, il suo mondo, la sua famiglia, la sua lingua: il dialetto, come linguaggio dell’anima, arcaico, vivo, acuto, saettante nella trasmissione del pensiero, proverbiale, musicale, prezioso.

Un realismo spiccato nel libro di Anna Maria De Sanctis, che racconta vicende vere, che lo ascrivono alla memorialistica abruzzese: descrizione di luoghi e persone con avvenimenti realmente accaduti, con colpi di scena, intrighi familiari, fidanzamenti, matrimoni, liti tra parenti o vicini e riappacificazioni, nascite o non nascite di figli, battesimi, cresime, comunioni, funerali. Una cronaca familiare di accadimenti anche minimi della vita quotidiana dei protagonisti, che come in un palcoscenico recitano nel dialetto di Spoltore, come vera lingua parlata, che in prospettiva rischia di scomparire o quanto meno di arretrare rispetto al processo di omologazione linguistica attuale. E poi sembra che l’Autrice abbia voluto fermare o immortalare il tempo. In realtà, lei confessa,  vuole esprimere dei sentimenti che sono entrati dentro la sua vita, in tutte le sue sfaccettature, e comunicarli ad un pubblico il più ampio possibile. Ha così creato un lascito rievocativo ed evocativo di un mondo in regresso, se non in fase di scomparsa, per mostrane dolore e fascino, durezza e tenerezza, sofferenza e magia.


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