E’ scomparsa il 30 giugno 2014, all’età di 92 anni, Maria Luisa Spaziani, una delle voci più originali della poesia italiana del Novecento. Nel 1986 aveva vinto la prima edizione del Premio Flaiano di Poesia, anticipando grandi nomi del panorama poetico internazionale, come Attilio Bertolucci, Seamus Heaney (Premio Nobel 1995), Yves Bonnefoy, Miroslav Holub, Lawrence Ferlinghetti, Yang Lian, Derek Walcott, Charles Tomlinson, Adonis.
Riproponiamo, qui di seguito, una intervista con Dante Marianacci, realizzata a Praga nel mese di settembre del 1985 e pubblicata sul numero di novembre della rivista “Oggi e Domani”.
La stella del libero arbitrio
Dante Marianacci: E’ inutile forse dire che Maria Luisa Spaziani è la più rappresentativa tra le poetesse italiane. Persino Montale si è espresso in questi termini. Ma la Spaziani non ama essere definita “poetessa”, quanto piuttosto “poeta”. È comunque la sua una condizione che stimola una domanda d’obbligo. Oggi il numero delle donne che scrivono poesie è aumentato notevolmente. Non so però se alla quantità corrisponda poi anche la qualità nella nuova poesia femminile italiana. Che cosa significa per una donna scrivere poesie oggi?
Maria Luisa Spaziani: Leroy Jones ha affermato che una delle sciagure della sua vita consisteva nel fatto che ogni volta che lo intervistavano si parlava del problema dei negri: “Mai che mi chiedessero qualcosa sui satelliti, sulle stazioni spaziali o sulla politica americana, ma sempre: come si trova un negro nella nostra società letteraria?” Questo succede anche a me, però devo riconoscere che il problema può essere veramente molto interessante, e lo dividerei in due parti: quello che personalmente mi riguarda e quello che riguarda la poetessa in sé. Per quanto mi riguarda personalmente, io non ho mai avuto dei grossi guai in quanto donna che scrive poesie. Anzi direi che la mia carriera letteraria, se vogliamo usare un termine improprio, è sempre andata con una facilità scandalosa, direi, a gonfie vele. Nel senso che quando io ero ancora abbastanza giovane e ho mandato, senza raccomandarlo e senza lettera d’accompagnamento, il mio manoscritto a Mondatori, nel giro di otto mesi è uscito nella collana dello “Specchio”. E allora era la collana di Montale, Saba, Ungaretti, Quasimodo. Quindi ho avuto un colpo di fortuna che, lo confesso, ancora oggi non mi spiego.
Per quanto riguarda il rapporto poi, mio diretto, con la poesia, io ho sempre scritto senza mai accennare a possibili problemi femminili cioè io non ho mai avuto i tipici complessi di inferiorità che hanno avuto le donne. Ho sempre scritto di tutto. Ho scritto di città, ho scritto di personaggi storici che contavano nelle maglie liriche della mia poesia. Di fronte alla vita mi sono sempre comportata come si comporta un uomo, quindi non ne ho mai avuti i pesi. Ma vedo che questa situazione è rarissima, pressoché unica vorrei dire, perché se noi prendiamo i grandi esempi di poesia femminile (e parlo di Marcelin de Borvarmor in Francia, della Plath in Inghilterra e altre) noi vediamo che sono tutte delle vittime, delle vittime più o meno gementi, ma sono sempre delle vittime…