Strane creature protese verso il mare, i trabocchi sono testimoni di un’antica civiltà legata alla pesca e al mare.
Queste ataviche palafitte, disseminate lungo il litorale abruzzese, pare siano state messe lì per caso, ancorate agli scogli silenziose vedette e fedeli guardiani della nostra costa.
Un tempo vi abitavano le famiglie dei pescatori più poveri della zona. Queste piattaforme assicuravano alla gente di mare stabilità in quanto vi si poteva pescare senza allontanarsi dalla costa.
Descritti, dipinti, fotografati i trabocchi sono stati celebrati da molti artisti con suggestivo lirismo. Anche il vate in una pagina del Trionfo della morte così scriveva nel periodo in cui soggiornava con Barbara Leoni nel suo rifugio lungo la costa: “La grande macchina pescatoria composta di tronchi intrecciati, di assi e di gomene biancheggiava simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano... pareva vivere di una vita propria avere un’aria e un’effigie di corpo animato. Il legno esposto per anni ed anni al sole, alla pioggia, alla raffica mostrava la sua fibra... si sfaldava si consumava, si faceva candido come una tibia o lucido come l’argento o grigiastro come la selce... acquistava un’impronta distinta come quella d’una persona su cui la vecchiaia e la sofferenza avessero compiuto la loro opera crudele”